Qui di seguito riportiamo l’articolo di Roberto Cociancich “Tra l’ombra e la luce: sette opere di misericordia”, direttamente dall’ultimo numero della pubblicazione scout “Servire”.
L’articolo-racconto è stato utilizzato come spunto di riflessione nella ultima route del clan a Roma.
“Sebbene giustizia sia ciò che chiedi,
considera questo, secondo giustizia nessuno di noi
vedrebbe salvezza; noi chiediamo misericordia
e quella stessa preghiera insegna a noi tutti
a compierne gli atti.”
Shakespeare, Il mercante di Venezia
Napoli, una sera di gennaio dell’Anno del Signore 1607. Avvolto nel suo scuro mantello Padre Vincenzo si affretta sui ciottoli del vicolo che conduce al Pio Monte della Misericordia. La luce della Luna trapela fra le nuvole e si allungano furtive ombre notturne: figure di una umanità ricurva alla ricerca di un giaciglio si muovono con rassegnata indolenza. Saranno pochi, stanotte, coloro che potranno permettersi una locanda: per i più il riparo sarà il portico di una chiesa, più probabilmente un tetto spiovente all’angolo di una piazza. Il frate spinge il pesante portale del palazzo e si incammina verso la scalinata che conduce alla Quadreria. Una donna, una zingara gli passa accanto e senza degnarlo di un saluto si intrufola di corsa verso l’uscita. “Che strano – mormora fra sé il religioso – cosa ci fa una malafemmina a quest’ora in questo luogo? Dovrebbe essere vietato…..”La torre campanaria scandisce sette rintocchi con suono cupo e sordo. “Sono in ritardo, speriamo che il pittore non se ne sia già andato…” . Giunto in cima alla scalinata apre una porta di legno che lo introduce ad un lungo corridoio verso l’appuntamento. “D’altronde, andato dove? Mi sembra un disperato, un poveraccio, un uomo in fuga, non credo abbia alternative se non stare qui da noi”. La sala è immersa nell’oscurità, sulla parete di fondo giace la grande tela ancor fresca dei colori ad olio stesi dal pittore. Sul lato opposto una piccola lucerna illumina debolmente una figura rannicchiata su se stessa, un uomo accovacciato e meditabondo che sembra non far caso all’arrivo del sacerdote. “Ah, ecco il famoso artista” pensa Padre Vincenzo “ecco il celeberrimo e al tempo stesso famigerato Michelangelo Merisi che si fa chiamare Caravaggio”. Il pittore alza il volto e mostra uno sguardo di brace ma al tempo stesso disilluso e stanco.
“Avete portato il denaro, Padre?”.
“A cosa vi riferite?” risponde il prete.
“Non fate il furbo con me, sapete bene a cosa mi riferisco: la paga che mi avete promesso, anzi che Vi siete impegnati a darmi con tanto di contratto e altri biscazzi da legulei: 470 ducati tondi tondi…”
“Non penserete che possa portare con me una simile somma di danaro” – domanda Padre Vincenzo ma poi soggiunge: “Ma non Vi preoccupate: domani l’avrete”.
“Padre, il mio lavoro l’ho fatto, non mi fate scherzi se non volete che ne faccia anche un altro…. sapete che ne sono capace “ aggiunge con tono minaccioso mentre con la mano sinistra solleva leggermente la giubba. La lama affilata di un coltello brilla nell’oscurità.
“Calma, calma figliolo, Vi accendete come un fiammifero! Io sono un frate, un uomo di Dio, potrete bene fidarvi di un uomo di Dio, no? Perché dubitate di me? non avete rispetto per la tonaca che porto?”
“ Padre, io non mi fido di me stesso, figurarsi di un prete!” e scoppia in una risata sarcastica. “Quanto alla Vostra tonaca io la rispetto ma mi fa anche orrore”.
“E per quale ragione Benedetto Iddio?”
“Da quando il Vostro Capo, il grande pontefice bianco che se ne sta a Roma nei suoi palazzi decorati di oro, ha emesso il decreto che chiunque lo voglia mi può spiccare dal tronco la testa io vivo nell’orrore e nell’angoscia”.
“Si lo so, il Papa ha emesso questa sentenza ma Voi avete ucciso un uomo!”
Un ghigno si allarga sul viso del Caravaggio: “Forse più d’uno padre, più d’uno…. e potrei non avere finito la serie…” Poi facendosi serio e grave aggiunge: “Era malvagio, uno che approfittava della sua ricchezza per sfruttare ancor di più i poveracci, gente come quella con cui sto io, che non ha i denti neppure per mangiare il pane ma questo poi non è un gran problema perché tanto il pane non ce l’ha. Voi, che vivete protetto da queste mura, neanche ve lo immaginate di quanti si sono approfittati di me, con i trucchi o la prepotenza e la forza dei loro sgherri. E’ facile per chi è ricco ottenere ragione perché nel nostro tempo chi è ricco ha sempre con se la forza del potere e chi ha ragione è quello che è più forte e ha più potere mentre quello che le busca ha sempre torto. Dov’è la giustizia? Io quello l’ho sbudellato ecco tutto, la giustizia gliela ho cavata fuori io…”.
“E’ stato scritto sulle Tavole: non uccidere. Nulla di quel che avete detto può giustificare l’uccisione di un uomo”.
“E cosa dunque vi autorizza a giustificare la mia? Decapitazione! DE-CA-PI-TA-ZIO-NE, – scandisce Caravaggio facendo un ampio segno attorno alla gola – questo sta scritto nella sentenza che mi riguarda. Chiunque, chiunque ne abbia voglia, piacere o interesse può tagliarmi la testa e ne avrà per ricompensa il plauso del Santo Pontefice. Anche Voi, magari per risparmiare i 470 ducati che mi dovete. Io sono un morto che cammina, ogni tocco di campana che odo dalla torre potrebbe essere l’ultimo, ogni ombra che esce dalla strada quella del mio carnefice. Voi non sapete cosa ciò significa: la vita è per me solo angoscia, anzi un calvario che anticipa un supplizio finale, quando finalmente qualcuno tirerà fuori la spada e metterà la mia testa in un cesto”. Il Caravaggio tira fuori la lingua e rotea gli occhi agitando le mani vicino alla testa simulando il singulto che il condannato esala insieme al suo ultimo respiro. Sembra lo sguardo della Medusa pieno di terrore e sorpresa nel momento in cui Perseo le mozza il capo. Poi si ferma di colpo, come pietrificato dal suo stesso sguardo. Lacrime gli rigano in volto che da truce torna ad essere miserevole e lo sguardo quello di un bambino che chiede compassione.
“Via via, non fate così, dice Padre Vincenzo, qui nessuno Vi vuole fare del male e siete al sicuro. Domani Vi darò la paga e voi avrete tutti i soldi che vi servono per fare della Vostra vita qualcosa di buono. Sempre che lo vogliate veramente. Ma ricordate: ciò che importa è la salvezza dell’anima. A che serve l’integrità del corpo se l’anima è malata o perduta? Dovreste considerare questa vostra sofferenza interiore come un dono della Chiesa che vi consente di ritrovare la via perduta, la rettitudine di vita, il discernimento tra ciò che è giusto per l’uomo e ciò che è disordine, perdizione.”
Risponde Caravaggio: “Belle parole ma, vede Padre, temo che sia troppo tardi, la mia vita è andata come è andata, sono solo l’ombra di ciò che sarei potuto diventare, ho cercato la luce ma sono condannato a rifugiarmi nelle tenebre, unica mia sicurezza. Per i poveracci come me, credetemi, le belle parole eleganti della liturgia, la sapienza dei confessori, la saggezza dei libri di morale sono semplicemente un lusso che non ci si può permettere. I vostri sermoni, non li discuto, saranno buoni ma non mi toccano il cuore. Sento invece il ferro della spada che mi cerca il collo, lo sento giorno e notte e già mi ha tolto il respiro anche se ancora cammino.”
Padre Vincenzo risponde: “Non è mai troppo tardi, c’è sempre un tempo, uno spazio, un attimo in cui tutta la nostra vita può cambiare; ricordate le parole di Sant’Agostino: Fra l’ultimo nostro respiro e l’inferno, c’è tutto l’oceano della misericordia di Dio”.
Replica Caravaggio: “Ah certo, l’inferno e la misericordia di Dio… Dio ci ama? questo desidero tanto crederlo anch’io. So per certo che sono gli uomini che non si amano e non si portano misericordia”.
Il frate rimane in silenzio per qualche istante e poi commenta: “L’amore tra gli uomini non nasce spontaneo, bisogna educarne lo sguardo. Il rischio è quello di rimanere solo bestie, di guardarci gli uni come prede degli altri. Se guardo al mio prossimo solo come a qualcuno che può servire ai miei scopi egli resta per me una preda (ma anche io rimango una bestia), se invece lo guardo come qualcuno a cui voglio servire egli diventa un fine, una meta e torna ed essere un uomo (e anch’io riacquisto la mia umanità)”.
“Siete abile con le parole Padre ma alla gente esse non bastano, vuole i fatti, le opere.”
“Questo è il motivo, replica Padre Vincenzo, per il quale Vi abbiamo chiesto di realizzare
questo dipinto e di tratteggiare in esso le opere della misericordia affinché per il tramite della Vostra arte fossero di ispirazione per i fedeli e adornassero questo santo luogo”.
“ E’ quello che ho fatto, Padre” – dice il Caravaggio avvicinando la lampada alla tela. “Vedete, esso è diviso in due parti: in quella superiore sta la Vergine Santa con il Suo Figlioletto in braccio; sono sorretti da due angeli con grandi ali.
Nella parte inferiore c’è una moltitudine confusa di donne e uomini. Qui nella parte destra, dietro le sbarre, sta Cimone condannato a morte per fame e a cui la figlia Pero fa visita e offre il seno per nutrirlo. In questo modo ho descritto il precetto di visitare i carcerati e dare da mangiare agli affamati. Vicino a loro un uomo porta a sepoltura un cadavere di cui si vedono i piedi avvolti nel sudario (dare sepoltura ai morti). Al centro San Martino dona il suo mantello al povero (vestire gli ignudi) e poco più in là un uomo che ospita a casa propria un pellegrino in cammino verso Santiago; infine Sansone che beve dalla mascella d’asino (dar da bere agli assetati). Ecco dunque Padre raccolte, come desideravate, le sette opere di misericordia raccomandate dalla Chiesa in unica immagine. Siete soddisfatto?”
Padre Vincenzo non risponde e osserva a lungo in silenzio il dipinto. Ne è per certi versi ammirato e per altri disturbato. E’ molto diverso da quello che si aspettava. Non tanto perché non fa alcun cenno all’attività caritativa del Pio Monte della Misericordia (anche se sa bene che i suoi superiori non avrebbero mancato di farglielo presente) e neppure perché il volto della Madonna è senza dubbio alcuno quella della prostituta incontrata sulle scale ma perché coglie una forza polemica dalle figure ritratte che lo disorienta. Alla fine commenta: “Si, è un dipinto complesso, ha una sua forza ma qualcosa mi sfugge: perché nessuno sorride? perché nessuno di questi uomini e nemmeno quella donna che offre il seno appare felice, contento di un gesto di misericordia che pure lo nobilita? Perché nessuno scambio di sguardi? Perché nessuno si rivolge al cielo? Sembrano due mondi distanti. La presenza divina c’è ma nessuno pare accorgersene. Anzi a ben guardare trovo una ambiguità in queste figure umane: davvero san Martino offre il suo mantello? sembra quasi volerlo trattenere mentre l’uomo nudo glielo vuole strappare. E questa donna con la gonna rialzata sta davvero compiendo un gesto di misericordia? A me sembra altro, non mi faccia dire cosa. Vedo tumulto, passione, violenza, non vedo misericordia”.
Sorride il Caravaggio: “Padre Voi avete un occhio acuto ma il significato di un’opera dipende anche da chi la osserva. Fate anche Voi uno sforzo: sollevate lo sguardo verso il cielo. Vedete la Vergine? guardate con quanto amore, con quanta tenerezza tiene il Bambino. Non è questa una bella immagine della misericordia celeste di cui tanto mi avete parlato? e guardate il sorriso del Figliolo: non è forse velato di benevolenza verso gli uomini che si affannano? Io ve l’ho detto: la vera misericordia viene solo da Dio; gli uomini sono capaci di beneficienza ma l’amore, la misericordia quella no, non sanno neppure dove abiti. Credetemi, a differenza Vostra che passate le serate in preghiera tra gli incensi e i pensieri spirituali, so di cosa parlo perché la mia vita l’ho passata tra i ladri e le prostitute e se non avessi imparato ad usare il pugnale oltre al pennello non potrei essere qui a disquisirne con Voi. La vita è lotta, sangue, conflitto, passione, amore carnale, tradimento. Dio ci ama ma a noi non interessa, noi siamo quaggiù a pugnalarci nelle tenebre, non abbiamo neanche il tempo per guardare la luce del cielo. Cerchiamo la giustizia ma troviamo solo il diritto, vorremmo la pace ma otteniamo solo una tregua”.
Risponde Padre Vincenzo: “Certo, la fonte di ogni bene è in Dio. Solo da lui viene il vero amore, la vera misericordia. Sta però anche scritto : Et misericordia a progenie in progenies, timentibus eum – vale a dire: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Dunque la misericordia di Dio è come una rugiada che disseta nell’alba le nostre vite inaridite. Non siamo stati creati solo per la morte né per camminare solo sulla Terra. Abbiamo una speranza più grande. Un destino celeste. Siamo uomini ma non solo. Cosa mi dite di questi angeli che avete dipinto al centro? Sembra che stiano lottando”.
Così risponde Caravaggio: “Sono due angeli, uno con le ali bianche, l’altro con le ali nere. Quest’ultimo tende le braccia verso il basso, forse sta precipitando, vorrebbe scendere sulla Terra, condividere il destino degli umani, le loro gioie e le loro sofferenze. Stare in cielo forse gli dà noia. L’altro lo trattiene, vuole evitare che egli cada. A parte le ali sono uguali fra loro. Forse sono la stessa creatura. Forse in ciascuno di noi, sicuramente in me stesso, c’è un angelo nero e un angelo bianco. La lotta che Lei intravede, Padre, è in noi stessi. Siamo angeli neri, angeli ribelli. La misericordia di Dio Padre ci spinge a scendere tra gli uomini; condividerne il destino ci rende fragili, infelici, mortali. Vorremmo aggrapparci al cielo ma non possiamo fare altro che cadere”.Padre Vincenzo annuisce e recita: “Signore non sono degno di partecipare alla Tua mensa ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”.
Cala fra loro un lungo silenzio. L’uomo di preghiera e l’artista maledetto, uno di fronte all’altro. “Chi di noi è più bisognoso della misericordia di Dio?” sembrano domandare i loro sguardi. “Amen” dice Padre Vincenzo, “Amen” conclude Caravaggio.
Roberto Cociancich
Post Scriptum : Tre anni dopo la consegna del dipinto Caravaggio venne trovato cadavere vicino a Ladispoli ucciso da un sicario. Verrà sepolto in una fossa comune. La sua opera resta immortale, rischiara di luce la condizione umana.